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Genesi, l’origine degli dei – Il mistero della rivoluzione del Neolitico – Breve approfondimento paleontologico.

Il mistero della rivoluzione del Neolitico 

 

La Palenteo-antropologia, mi ha sempre affascinato.

Questa scienza, spesso ritenuta solo un arido e minuzioso studio di reperti, con raffronti ed elaborazioni strettamente tecniche, riserva invece anche aspetti avventurosi, rivelando l’esistenza di innumerevoli misteri che avvolgono la storia dell’Uomo.

Uno dei misteri, a tutt’oggi non ancora completamente chiarito dalle varie teorie e ipotesi, è il motivo dell’abbandono della vita nomade di cacciatore raccoglitore da parte dei nostri antenati, all’incirca 12.000 anni fa nella c.d. “mezzaluna fertile” (parte dell’attuale Medioriente) a favore dell’agricoltura, con conseguente formazione di gruppi stanziali più numerosi.

Questo radicale cambiamento è apparentemente privo di ogni logica utilitaristica, almeno a breve termine.

Le popolazioni di cacciatori raccoglitori che abitavano in quelle fertili regioni, vivevano piuttosto bene, potendo reperire tutto il necessario per il proprio sostentamento senza troppa fatica, dedicando solo una frazione della giornata a procurarsi il cibo, e assicurandosi una dieta varia e completa.

Numerosi reperti  confermano che la nuova dieta alimentare, derivata dall’agricoltura, produsse una drastica riduzione della statura media, da 1,78-1,65 metri (uomo-donna) a 1,60 – 1,55, e un significativo calo nell’aspettativa di vita.

Inizialmente, procurarsi una sufficiente alimentazione con l’agricoltura, con la quasi inesistente tecnologia a disposizione, richiedeva l’intera giornata e una fatica fisica devastante; inoltre, la promiscuità con i primi animali addomesticati, l’inefficacia dei sistemi di smaltimento dei rifiuti, unito a una maggiore concentrazione della popolazione, generò le prime micidiali epidemie.

Ma allora perché avvenne questo cambiamento?

Le teorie si sprecano, ognuna seguendo ragionamenti logici, e non tutte si escludono tra loro.

Anzitutto occorre premettere che la raccolta dei semi, e anche una stanzialità stagionale, in diretta relazione alla maturazione di alcune piante selvatiche, era già praticata da alcune popolazioni dal Paleolitico tra 35.000 e 14.000 anni fa, e quindi, contrariamente a quanto postulato da Gordon Childe, a cui si deve l’invenzione del termine “rivoluzione Neolitica”, il mutamento fu lento e graduale, nulla di paragonabile a una rivoluzione.

Riporto alcune tra le ipotesi classiche, senza prendere in considerazione quelle che spiegano il “come”, ma non il “perché”.

  1. La teoria c.d. economica (in realtà sono più teorie che si basano su concetti e presupposti assai simili), che individua il motivo del cambiamento nella maggior capacità produttiva e di conservazione dei generi alimentari prodotti dall’agricoltura e dall’allevamento, rispetto a quelli reperibili con la caccia e la raccolta.
  2. La teoria demografica che vede nella sovrappopolazione, e quindi nel sempre maggior fabbisogno alimentare, da parte di tribù semi stanziali, la causa del cambiamento.
  3. La teoria sociale, simile alla precedente, ma che indica nello sviluppo del concetto di proprietà privata la spinta al cambiamento presso alcuni gruppi semi sedentari, dove l’agricoltura avrebbe reso più semplice stabilire il possesso di colture e animali domestici, ma anche delle risorse selvatiche, generando una maggiore influenza sociale degli individui con maggiore capacità di generare e controllare il surplus alimentare.

Ognuna di queste ipotesi può essere contestata, in tutto, o in parte.

La teoria economica, che si fonda sul presupposto di una penuria di cibo a causa di condizioni climatiche avverse, contrasta con i ritrovamenti che risalgono a quel periodo, e che certificano come nella regione del Levante le condizioni climatiche fossero particolarmente favorevoli, e quindi con risorse disponibili, non solo equilibrate in rapporto alla popolazione umana, ma addirittura eccedenti il loro fabbisogno (vedi “Economia d’abbondanza” di M. Sahlins).

La teoria della sovrappopolazione, per certi versi assimilabile a quella economica, non regge se relazionata a un periodo storico nel quale la popolazione era numericamente ridotta e il territorio in grado di assicurare abbondante nutrimento ai gruppi di cacciatori-raccoglitori.

La teoria sociale non tiene conto che, dallo studio delle attuali tribù di cacciatori-raccoglitori, emerge che, in tale contesto, la proprietà privata è quasi sconosciuta, e comunque non provoca stratificazioni sociali tali da creare diseguaglianze ingiustificate, e che anche il concetto di ricchezza è relativo e assai diverso dal nostro.

La teoria culturale.

Stante le numerose critiche mosse alle teorie sopra illustrate, ecco quindi assumere rilevanza quella dell’evoluzione culturale, che ho preso come spunto per la stesura del romanzo. Tale ipotesi abbandona le necessità materiali quali giustificazioni per il mutamento, a favore della sempre maggiore importanza presso le popolazioni umane del simbolismo religioso, questa sì una vera e propria rivoluzione, una maturazione psichica che rendeva insoddisfacente  il precedente modo di vivere.

Questa teoria, formulata dall’illustre professore e archeologo francese, specializzato nella preistoria del Levante, Jacques Cauvin (1930-2001), dà spunto all’ipotesi, assai più dirompente, di Ian Hodder, noto archeologo inglese, e docente di di Antropologia presso l’Università di Stanford (USA), riferita alla scoperta dei resti di un ciclopico tempio a Göbekli Tepe, risalente a 12.000 anni fa.

Secondo lo studioso, è possibile che la necessità culturale di costruire un imponente tempio, dove adorare le divinità e pregarle di intercedere a favore dell’Uomo, sia stata la principale ragione che spinse le popolazioni nomadi, o più verosimilmente quelle già semi stanziali, a fermarsi stabilmente e riunirsi in una più vasta comunità in grado di garantire la manodopera necessaria per la costruzione di un’opera così grandiosa.

Sarebbe stato impossibile assicurare cibo e riparo a un gruppo così numeroso con la sola caccia e raccolta, da qui la necessità di dare impulso all’agricoltura e all’allevamento, attività già embrionalmente conosciute.

È probabile che tale epocale decisione non sia stata presa rapidamente, ma sia maturata nell’arco di più generazioni, sfruttando un luogo di ritrovo stagionale sacro alle varie tribù, forse usato per ingraziarsi le divinità durante le battute di caccia, o di feste dedicate alla fertilità, con la celebrazione di matrimoni misti.

L’argomento, trattato assai succintamente, si presta a ulteriori approfondimenti e discussioni, che sarò lieto di proporre, se qualche lettore ne facesse richiesta.

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