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LA LEGGENDA DEL LEONE ROSSO E DELL’AQUILA DI CRISTALLO – Quasi una fiaba.

2021© Sergio Faccini.

Questa è un’opera di fantasia. Nomi, persone ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’Autore. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti, è da ritenersi puramente casuale. Questo racconto contiene materiale coperto da copyright, e non può essere copiato, noleggiato, licenziato, trasmesso in pubblico. O utilizzato in qualunque altro modo ad eccezione di quanto è stato specificatamente permesso dall’autore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941).

 

I.

La principessa Estrelle era bellissima.

Alta, slanciata e flessuosa come il gambo di una rosa delle nevi, le lunghe gambe perfette da danzatrice, il seno piccolo ma orgoglioso, il collo aristocratico di un cigno del ghiaccio, i lisci capelli argento che scendevano dritti fino alla vita sottile, incorniciando un viso dall’ovale leggermente allungato, che lasciavano spuntare le eleganti appuntite orecchie dalle splendenti antenne cristalline.

Incontrandola, ogni uomo restava senza fiato, ma, come se non bastasse, il loro cuore veniva irrimediabilmente trafitto dai suoi occhi dal taglio ferino, che incastonavano splendenti iridi color blu cobalto come il ghiaccio monti Ariasi, adornati da lunghe ciglia che sbattevano come delicate ali di una farfalla di cristallo.

Nessuno resisteva a quell’impertinente nasino leggermente appuntito, rivolto all’insù, o alle labbra piene, color fiordaliso, che sbocciavano sul candido, perfetto incarnato azzurrino, nascondendo i denti appuntiti, accecanti perle bianche, che apparivano nei rari e preziosi sorrisi, illuminando il volto e l’anima dei fortunati spettatori.

Ai cento e più nobili del Regno che le avevano chiesto la mano, lei sprezzante aveva risposto che avrebbe donato il suo cuore solo a chi fosse riuscito a sconfiggerla in duello.

Sì, perché Estrelle era una principessa guerriera.

La sua natura, che ben poco si confaceva a una principessa, si era palesata già in tenera età, quando, alle bambole e ai vestitini, aveva preferito spade di cristallo e piccole sculture di draghi da guerra, cavalcati da prodi lancieri.

La madre, Regina Alyssa, ne era sconfortata, ma il padre, Re Nir, sorrideva sotto i baffi, con gli occhi che brillavano nell’ammirare la sua unica figlia duellare contro immaginari avversari.

La svolta decisiva avvenne quando, nel bel mezzo della festa per il suo quinto compleanno, sulla grande terrazza del castello dove i musici suonavano e gli ospiti danzavano, atterrò una giovane dragonessa.

La musica si arrestò e, nell’attonito silenzio, nacque il richiamo del drago.

Era un canto antichissimo, le cui origini si perdevano nella notte dei tempi, quando il mondo era ancora giovane e gli uomini avevano stretto il patto con i grandi rettili volanti.

La dragonessa aveva la stessa età della principessina, ma già le sue dimensioni superavano quelle di un puledro delle nevi, e le sue ali membranose, da punta a punta, misuravano otto metri. Era davvero stupenda: le scaglie di un azzurro perfetto, il muso poderoso dalle lunghe zanne appuntite, gli occhi oro zecchino, le zampe dagli artigli possenti… uno spettacolo.

Estrelle si svincolò dalle braccia della madre e camminò sicura, senza paura, verso la dragonessa.

Tra lo stupore generale, posò il palmo della sua manina proprio sulla fronte dell’animale, che immediatamente smise di cantare e le rivelò mentalmente il proprio nome “Zirah”.

Era l’imprinting: un legame indissolubile che legava un essere umano al suo drago. Un rapporto simbiotico che si instaurava tra gli appartenenti alle due specie, l’essere umano diveniva un Dragoniere e il Drago il suo inseparabile compagno.

Raramente accadeva che una donna diventasse Dragoniere e mai prima d’allora una principessa.

La regina madre pianse lacrime amare, il Re aveva gli occhi che brillavano d’orgoglio.

Fu così, che, accanto alla maestra Lisia, che si prodigava nell’insegnarle quanto una principessa doveva sapere, fece la sua comparsa il burbero Maestro Oras.

Oras De Camp, un nobile di basso rango, era stato comandante dei Dragonieri quando il nonno di Estrelle era re del Regno del Ghiaccio. Si era coperto d’onore e gloria combattendo innumerevoli e sempre vittoriosi duelli contro i Dragonieri del Regno del Fuoco, meritandosi l’appellativo di “Invincibile”.

Quando una grave ferita lo aveva reso inabile al servizio attivo, il re lo nominò primo maestro d’armi, col compito di addestrare i suoi tre figli nell’arte della guerra.

Nonostante l’età, era ancora in perfetta forma, agile e scattante come un giaguaro bianco e forte come un drago.

Era famoso per la crudezza e l’intransigenza degli addestramenti che riservava ai suoi allievi, ignorando bellamente che fossero i rampolli delle più nobili Casate del regno, infliggendo dolorose e mortificanti punizioni corporali.

Forse per l’età avanzata, o perché Estrelle, già allora, possedeva una bellezza straordinaria in grado di ammaliare chiunque, Maestro Oras si comportò con lei con assai minore durezza.

Si mormora che qualche servitore di palazzo l’avesse sorpreso addirittura a sorridere, osservando quella bimbetta piroettare come un ballerina, brandendo una minuscola spada di cristallo.

Al compimento del sedicesimo anno di età, Estrelle fu nominata cadetto Dragoniere.

Nessuno era in grado di tenerle testa nel cavalcare un drago o superarla nell’uso della lancia e della spada, persino nel combattimento a mani nude primeggiava, e la vittoria contro il cadetto Nosir, pesante quasi il doppio di lei e più alto di una ventina di centimetri, dilagò per tutto il Regno.

A onor del vero, qualche malalingua, mormorò che fosse stata una crudele freccia d’amore a trafiggere il cuore del giovane gigante, favorendone la sconfitta, ma ammirandola combattere, ben pochi vi credettero.

La regina continuava a piangere e a lamentarsi e il re a gongolare orgoglioso.

A 18 anni ricevette l’armatura e lo stendardo: era un Dragoniere del Regno del Ghiaccio.

Nel volgere di un anno, lei e Zirah divennero famose.

Avvolta nella sua armatura bianca, con l’effige di cristallo dell’aquila reale del ghiaccio, a cavallo della dragonessa azzurra, aveva sconfitto tutti gli avversari che aveva sfidato, e ora i loro gagliardetti, sventolavano, orgogliosamente fissati sulla schiena corazzata di Zirah.

La fama di guerriera imbattibile crebbe anche grazie ai tornei, che mensilmente si tenevano al castello.

Nessuno sembrava in grado di batterla e, mentre l’ennesimo pretendente alla sua mano, dopo un breve duello, tra gli applausi e le risa del pubblico, finiva ammaccato a mangiar la neve del campo, la regina sospirava sconsolata e il re sogghignava sotto i baffi.

 

II.

 

Erano trascorsi due anni dalla nomina di Dragoniere, e  ben 12 gagliardetti sventolavano sulla schiena di Zirah, eppure, ogni volta che si alzava nel cielo sulla sella della sua amata dragonessa, l’emozione era uguale a quella provata durante il suo primo volo.

Il gelido vento, che penetrava attraverso la celata dell’elmo piumato, le sferzava il viso come la rude carezza di un amante focoso, e il profumo del ghiaccio le riempiva le nari, ubriacandola di libertà.

Dei come amava volare!

Lei e Zirah erano come un unico essere che sfrecciava nel cielo.

Assieme disegnavano acrobatici volteggi, arditamente picchiavano a folle velocità, sfiorando il terreno per poi risalire a candela, trapassando le bassi nubi di cristalli ghiacciati come un freccia scagliata da un arciere divino.

Amava la sua terra.

La neve dalle mille sfumature, dal bianco accecante al pallido grigio, il ghiaccio azzurro e blu dei monti Ariasi, quello venato di smeraldo dei picchi di Shanna, o color dell’oro del Gran Tush.

Eppure, al contrario di tutti i suoi compagni d’arme, ammirava anche i monti rossastri della catena di Andara e le remote verdi foreste di Nisia, paesaggi alieni che intravedeva solo da lontano, quando, dopo aver superato la Barriera di ghiaccio ed essersi addentrati nella Terra di Mezzo, arrivavano fino ai limiti della Barriera del Fuoco.

In quel territorio, caldo per loro e freddo per i nemici, talvolta incontravano i Dragonieri del Regno del Fuoco, e allora si duellava.

Secoli addietro c’era stata una tremenda guerra tra i due popoli. Era durata venti lunghi anni e aveva causato morte e distruzione.

Le cronache riportavano eventi di una brutalità inconcepibile: villaggi incendiati dall’alito infuocato di centinaia di Dragonieri nemici che, vestiti con pesanti imbottiture per proteggere uomini e draghi dal gelo, erano riusciti più volte a penetrare in profondità nel loro territorio, fino a minacciare la stessa Capitale.

Come risposta all’eccidio di migliaia di innocenti, i Dragonieri del ghiaccio, protetti da speciali indumenti anticalore, avevano compiuto incursioni oltre confine, congelando a morte, con gli aliti dei loro draghi, altrettanti nemici.

Alla fine si era giunti a una tregua, che resisteva inviolata  da quattro secoli.

Quella guerra le era sempre parsa senza senso: chi del suo popolo avrebbe combattuto per conquistare un territorio dove il calore lo avrebbe ucciso in poche ore? E quale nemico avrebbe bramato le loro terre, per morirvi congelato in brevissimo tempo?

Aveva discusso della questione con Oras, fino a comprendere che in realtà la guerra era scoppiata a causa dell’odio ancestrale che i due popoli nutrivano l’uno per l’altro.

Ma quella era storia antica. Da 400 anni i due Regni mantenevano migliaia di soldati a ridosso delle rispettive barriere, pronti a difendere il proprio territorio da un’invasione che non s’era mai verificata.

Nella Terra di Mezzo, dove la temperatura era a metà tra quella del Regno del Ghiaccio e quella del Regno del Fuoco, i Dragonieri dei due regni si incontravano, duellando tra loro, senza che ciò rappresentasse una rottura della tregua.

Era una questione d’onore e con onore uomini e draghi combattevano e morivano.

Quel giorno erano partiti all’albeggiare del tenue sole d’inizio primavera, con la siluette del disco lucente che s’intravedeva appena, filtrata dalle perenni nubi di cristalli di ghiaccio che proteggevano il Regno dal mortale calore dell’astro.

Si alzarono a coppie.

In ventiquattro salirono rapidamente nell’aria ancora fredda, fino a 300 metri dal terreno.

Il Regno del Ghiaccio si trovava su un altopiano che si estendeva per quasi metà del continente, coprendo tutto il Nord del mondo.

Sorvolarono la sua amata città, Shava, che a quell’ora si stava svegliando dopo una quieta notte di riposo.

Estrelle immaginò i bambini col naso all’insù, proprio come lei alla loro età, sorridere felici nel vedere i draghi attraversare il cielo.

Sfiorarono le dodici torri di cristallo che si innalzavano sfidando il cielo, orgoglio della capitale, simbolo della gloria e della potenza del Regno.

Tranquillamente appollaiate sulle guglie più alte, indisturbate nidificavano alcune aquile reali del ghiaccio, chiamate anche di cristallo per le loro meravigliose piume sfavillanti.

Al loro passaggio volsero le nobili teste fissandoli indifferenti.

Sapevano di non correre rischi: la loro maestosa figura era il simbolo della Casata che da oltre mille anni regnava su quelle terre, garantendo loro assoluta protezione.

Più in basso ecco apparire i tetti blu delle abitazioni che coprivano le tre colline sulle quali era costruita la capitale del Regno.

Qua e là, spiccavano i grigi tetti d’ardesia dei palazzi nobiliari, quelli di nero granito delle locande più lussuose, o di pietra bianca, degli empori e delle botteghe artigiane.

Estrelle osservò le strette vie dei sobborghi, le piazze adornate di statue di quarzo e gli ampi viali che portavano al castello, con ai lati ordinate file di secolari querce del gelo.

Sorvolarono i giardini del Re, abbelliti da cento sculture di cristallo, e con i prati rallegrati dalle primule nevose che stavano già sbocciando.

Presto avrebbero fatto la loro comparsa i fiori che lei preferiva: le rose della neve, e, con loro, l’erba cristallina sarebbe cresciuta, dando riparo alle delicate lucertole del Nord e alle bellissime lucciole del ghiaccio.

In un paio d’ore raggiunsero la Barriera.

Come d’uso, compirono ampi cerchi e complesse evoluzioni, salutando così i soldati armati di potenti balestre che proteggevano i confini del Regno.

Proseguirono, alzandosi fino a sfiorare la quota massima possibile, superando la Grande Barriera del Ghiaccio, un’infinita, possente muraglia di rocce perennemente ricoperte da una spessa, lastra di ghiaccio, che delimitava il Nord dal resto del Mondo.

Superata la Barriera, iniziarono a scendere.

La Terra di Mezzo era una striscia ampia un centinaio di chilometri che attraversava, come un ferita, da Est a Ovest l’intero continente.

Il terreno degradava progressivamente fino a arrivare a meno di mille metri sopra il livello del mare, lì s’innalzava l’altra Barriera, quella del Fuoco, una muraglia, possente quanto l’altra, anch’essa coperta di ghiaccio e neve, ma solo dal loro lato. L’altro, che nessuno del suo popolo aveva più visto dopo la grande guerra, si raccontava fosse di nuda roccia basaltica.

Nella Terra di Mezzo le nubi erano sottili e talvolta si aprivano degli squarci, rivelando il cielo azzurro, che lei, al contrario dei suoi compagni, riteneva meraviglioso, ma che lasciavano penetrare i malefici raggi del sole.

I Dragonieri non indossavano l’equipaggiamento usato nella grande guerra, troppo ingombrante per duellare, affidando la protezione dal calore solo a dei particolari indumenti che indossavano sotto l’armatura, che non potevano certo preservarli più di tanto, obbligandoli ad evitare, quanto più possibile, di esporsi.

Com’era usanza, attesero volteggiando a metà strada tra le due muraglie, dove nessuno dei due schieramenti avrebbe goduto di privilegi rispetto agli avversari.

Bastò una manciata di minuti per scorgere alcuni punti neri stagliarsi nel cielo.

Erano i Dragonieri del Regno del Fuoco: quel giorno ci sarebbe stata battaglia.

 

III.

 

A 300 metri di distanza, la formazione nemica si arrestò e i guerrieri iniziarono a studiarsi, volteggiando per non perdere portanza.

Il cuore di Estrelle ebbe un sobbalzo: tra i tanti che vibravano gagliardi al vento, c’era anche lo stendardo del Leone Rosso!

Era fissato sulla schiena di un magnifico drago dalle scaglie nere, talmente lucenti da riflettere la luce del pallido sole.

Le ali poderose battevano l’aria senza fatica, gli occhi brillavano come carboni ardenti.

Il Dragoniere che lo montava non era da meno.

L’armatura di metallo nero, lucidato alla perfezione, col simbolo color rosso rubino del Leone alato delle savane di Surgeon, proteggeva un uomo molto alto, dal fisico longilineo ma prestante.

Sedici gagliardetti battevano il vento, ancorati alla schiena del Drago Nero, a dimostrazione di altrettanti duelli vittoriosi.

Il Leone Rosso era famoso, e su di lui erano nate terrificanti storie che le madri raccontavano per domare i figli irrequieti.

“È la mia grande occasione”’, pensò Estrelle.

Con un rapido ordine mentale, fece avanzare Zirah verso di lui e la fece impennare, proponendogli di duellare.

Lui si fece avanti, rispondendo nello stesso modo: la sfida era stata accettata.

«Sei Aquila di cristallo!», le urlò il suo avversario, vincendo il vento. «Sei famoso. Finalmente potrò aggiungere il tuo gagliardetto alla mia collezione!».

La principessa, nascosta dall’elmo, sorrise.

Nessuno dei Dragonieri del Regno del Fuoco sospetta che io sia una donna”, pensò. “E non lo rivelerò di certo adesso!”, decise, già immaginando le solite linguacce malignare sul vero motivo delle sue vittorie.

Evitò di rispondere, perché la sua voce l’avrebbe tradita, limitandosi a un gesto con la mano.

Alcuni Dragonieri avevano già iniziato a duellare e il cielo era affollato di combattenti.

Il Leone Rosso, la invitò a allontanarsi dal centro degli scontri, per disporre di uno spazio adeguato.

Estrelle accettò.

Un breve saluto con la spada, subito riposta nel fodero, e il duello ebbe inizio.

Looping, tonneau, virate a coltello e manovre a otto si susseguirono, tutte eseguite alla perfezione, nel vano tentativo di trovare una posizione vantaggiosa rispetto all’avversario.

Dieci volte l’alito rovente del drago avversario sfiorò Zirah, e dieci volte la dragonessa azzurra gli rispose col suo gelido soffio, mancandolo di pochissimo.

I draghi avrebbero avuto bisogno di almeno un’ora perché le loro ghiandole producessero nuovamente i mortali getti, ma non per questo il duello sarebbe terminato.

“Sono davvero bravi”, ammise Estrelle. “Ma adesso vediamo come se la cavano con la lancia”.

I due contendenti estrassero le lunghe aste dai foderi fissati al fianco dei draghi: una nera come la notte, l’altra lucente come il ghiaccio. Quattro metri che terminavano con punte affilate, forgiate col migliore degli acciai.

Sganciarono gli scudi, uno nero con al centro il rosso leone alato, l’altro bianco, con l’aquila di cristallo.

Ripresero distanza e, quando furono a un centinaio di metri l’uno dall’altra, comandarono ai draghi di caricare verso l’avversario.

Corre come un demonio”, osservò la principessa.

Un’istante prima dello scontro, si gettò all’indietro, serrando lo scudo con tutta la sua forza. Un colpo, come di maglio, le intorpidì il braccio scudato, propagandosi dolorosamente fino alla spalla, e un altro, altrettanto poderoso, scosse il braccio che teneva la lancia.

Senza perdere un istante, si drizzò.

Era incredula.

Ha rotto il mio scudo e spezzato la lancia!”.

Impennò Zirah e la fece girare.

Lui lì, davanti a lei, a una cinquantina di metri.

Aveva eseguito la sua stessa manovra, e anche lui gettò nel vuoto l’asta spezzata e lo scudo ormai inservibile.

Un brivido le corse nelle vene.

“Finalmente un guerriero mio pari!”.

Estrasse la spada donatagli dal padre, un’arma stupenda, dalla lama scintillante, che recava sull’elsa dorata un diamante purissimo, tagliato con la forma dell’aquila reale del ghiaccio, il simbolo della Casata degli Shiannar.

Salutò l’avversario, chinando il capo in segno di rispetto, e lui fece altrettanto.

Combattere con la spada, cavalcando un drago era praticamente impossibile, pertanto avrebbero dovuto atterrare e continuare appiedati.

Estrelle non era preoccupata, perché nessuno era mai riuscito a sconfiggerla e tutti la ritenevano la migliore spadaccina dai tempi di Golmar.

Si stava preparando a scendere di quota, quando, con la coda dell’occhio, vide Neon De Sharp, uno dei suoi compagni di squadriglia, avventarsi contro il Leone Rosso, cogliendolo alle spalle.

Lui se ne accorse, e tentò di sottrarsi dall’attacco con una disperata manovra evasiva, ma era troppo tardi, e il gelido getto del drago del ghiaccio colpì di striscio l’ala di quello nero, che urlò di rabbia e di dolore, mentre la sottile membrana si ricopriva di brina, sbriciolandosi in alcuni punti.

Senza più alcun controllo, il Leone Rosso e il suo drago precipitarono, avvitandosi nell’aria tersa.

La principessa era attonita.

«Cos’hai fatto!», urlò.

«Eri in difficoltà e sono corso in tuo aiuto, ma non temere, nessuno mi ha visto, nemmeno i nostri compagni. Potrai sostenere d’averlo sconfitto!».

Mai una simile rabbia l’aveva travolta.

«Che tu sia maledetto! Lo hai colpito a tradimento, vigliacco!», ringhiò. «Hai macchiato l’onore dei Dragonieri del Regno del Ghiaccio e infangato il mio stemma! Ti farò espellere con disonore!».

Ordinò a Zirah di lanciarsi in una folle picchiata, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

Da quando aveva ricevuto l’imprinting, nessuno l’aveva mai vista piangere, perché mai, da allora, aveva pianto, ma ora, al pensiero di quanto era accaduto, non riuscì a controllarsi.

“Dei del cielo”, pregò. “Vi scongiuro, fate che sia vivo”.

Forse gli Dei decisero d’ascoltarla, o forse fu il Fato, che già tesseva la tela del suo destino, ma, quando atterrò, si trovò davanti il suo avversario, ritto in piedi.

Si era tolto l’elmo, reggendosi con la mano sinistra il braccio destro.

La principessa smontò con un elegante volteggio e, arrivata a pochi passi dall’uomo, si bloccò.

Dei com’è bello!”, pensò, senza nemmeno rendersene conto.

Non riusciva a staccare lo sguardo da quel viso dai tratti forti ma regolari, dai penetranti occhi neri, incorniciato da una foresta di riccioli corvini.

«Siete venuto per finire il lavoro?», chiese lui, col disprezzo nella calda voce baritonale.

Lei si tolse l’elmo e i lunghi capelli lucenti, mossi dal vento, l’avvolsero in una nuvola d’argento. «Sono qui per chiedere umilmente il tuo perdono, sappi che mi assicurerò personalmente che chi ha disonorato me e tutti i miei compagni, sia adeguatamente punito», mormorò.

il Leone Rosso sobbalzò. «Ma tu sei…una ragazza!», esclamò stupefatto.

«Sono Estrelle De Shiannar, principessa del Regno del Ghiaccio, combatto nei Dragonieri col nome di Aquila di cristallo».

«Io sono Samar De Roch, principe del Regno del Fuoco e combatto nei Dragonieri col nome di Leone Rosso».

Rimasero in silenzio alcuni istanti, squadrandosi da capo a piedi. Erano i figli dei re di due Nazioni nemiche, sulle quali un giorno avrebbero regnato.

Estrelle fu la prima a riprendersi. «L’onore mi impone d’aiutarti, sei ferito?».

«Il braccio, penso si sia rotto per la caduta. Nefrim mi ha avvolto tra le sue ali attutendo il colpo, e, per fortuna, siamo caduti su uno spesso manto di neve, ma temo che lui sia molto più grave di me».

«Permettimi di controllare, sono brava con i draghi».

Stava per avvicinarsi alla nera massa di squame luccicanti, quando un’enorme muso spuntò da sotto un’ala parzialmente ripiegata e due occhi di fuoco si fissarono su di lei.

Un cupo brontolio scosse l’aria, mentre Le fauci si spalancavano, mostrando poderose zanne, acuminate come coltelli.

Con un balzo degno d’una pantera delle nevi, Zirah si frappose, ringhiando l’antica sfida dei draghi.

«Non credo sia una buona idea», commentò il principe.

Entrambi ordinarono ai propri compagni di smetterla.

Zirah, seppur malvolentieri, si fece da parte. “Cosa diavolo stai facendo?” Le chiese, con la mente. “Stai cercando di farti sbranare da questo lurida lucertola dal sangue caldo”’.

Estrelle le rispose, allo stesso modo: “Cavaliere e drago sono stati assaliti vigliaccamente. È nostro dovere rimediare. Faremo tutto il possibile per aiutarli”.

L’unico commento fu un brontolio di disapprovazione.

«Anche il mio compagno non è d’accordo nell’accettare il tuo aiuto, ma io sì. Senza, non avremmo speranze: ha un’ala fuori uso e una zampa spezzata, non può né volare né camminare, e qui per noi fa parecchio freddo, non credo che riusciremmo a resistere più di un paio di giorni».

«Al tramonto mancano ancora parecchie ore. Prima di ritirarsi i vostri compagni vi troveranno, oppure potrei portarti in volo fino ai piedi della Barriera del Fuoco».

«Non ci hanno visto cadere, non saprebbero dove cercarci. Probabilmente, sentendo quel tuo amico vantarsi, penseranno che siamo morti, quanto a darmi un passaggio, se mi portassi fino alla Barriera non avrei comunque modo di avvertirli, e tentare di a scalarla sarebbe una pazzia».

«Potrei portarti dall’altra parte…», propose.

«I soldati di guardia vedrebbero solo un nemico che tenta di sconfinare: ci abbatterebbero subito».

Lei annuì. Rimase pensosa per un attimo, poi spalancò gli splendidi occhi. «Forse ho trovato!», annunciò sorridendo.

Lui impallidì. «Ma allora è vero che bevete il sangue come dei vampiri!», esclamò, mentre la mano sana correva al coltello fissato alla cintura.

Estrelle lo fissò stupita. «Non capisco cosa stai farfugliando… noi bere il sangue! Ma che dici?».

«I tuoi denti…», farfugliò. «Sono come quelli di una belva!»

Lei tornò a guardarlo, sempre più interdetta. «Perché i tuoi come sono?».

«Normali denti umani!», sbottò il principe, mettendo in mostra la sua perfetta dentatura.

Una risata argentina sgorgò dalla candida gola della principessa. «Oh Dei! Ma sembrano quelli di un bue delle nevi!», esclamò.

Entrambi scoppiarono a ridere.

Smettetela immediatamente!”, la riprese Zirah. “Quello che sta accadendo non mi piace per nulla. Capisco che onore voglia che li si aiuti, ma mi pare che stiate esagerando. Secondo me, ne è convinto anche quel mostro caldo e puzzolente, e credo stia dicendo le stesse cose al suo umano”.

“Quindi, su qualcosa, siete d’accordo pure voi!”, fece notare caustica la principessa.

Senza badare ai brontolii di Zirah, si rivolse al giovane principe: «ti assicuro che, se dovessi bere il sangue di un essere caldo, morirei in pochi minuti».

«E io ti giuro sul mio onore che non brucherei mai quella gelida erba che cresce da voi!».

Ancora una volta non riuscirono a trattenere una risata.

«Allora, la tua idea?», le chiese lui, ritornato serio.

«In caso di incidente, o in seguito a un combattimento, può accadere che un drago rimanga ferito a un’ala e non sia in grado di sorvolare la Barriera per rientrare, perciò abbiamo sviluppato una tecnica particolare che chiamiamo ala contro ala…».

«Anche noi abbiamo studiato un modo…». Spalancò gli occhi dallo stupore. «Tu vorresti che noi…?».

“Ho capito bene? Sei completamente impazzita!”, le ringhiò nella mente Zirah.

«Non c’è nessun’altra soluzione. Legheremo l’ala ferita del tuo drago a quella sana della mia e voleremo in coppia».

«Ma la tua dragonessa si ustionerà al contatto dell’ala di Nefrim e la sua si congelerà. Non è possibile!».

«Io, sotto la corazza, ho degli indumenti che dissipano il calore, e tu presumo ne abbia contro il freddo. Li frapporremo tra le ali dei nostri compagni, isolandoli per il tempo sufficiente a portarvi dall’altra parte della Barriera».

«Ma laggiù per voi farà un caldo infernale, e tu sarai senza protezione…».

«Rimarremo per poco tempo, resisteremo».

“Senza considerare che è un piano assolutamente folle, non hai pensato che, quando ci vedranno arrivare dall’altra parte, gli amici di questi due ci riempiranno di frecce come dei portaspilli?”, obbiettò Zirah.

“Saremo molto vicini. Riconosceranno il drago nero e lo stendardo del leone rosso, dubito che rischieranno di colpire il loro futuro re”.

“Sarà, ma non sono affatto convinta”.

Impiegarono quasi un’ora per persuadere Nefrim, poi, alla fine, anche lui cedette.

Arrivò il momento di spogliarsi.

I due draghi si erano frapposti tra loro, facendo barriera, ma, dopo aver scoperto le differenze delle loro dentature, la curiosità era troppa ed ebbe il sopravvento, così lui sbirciò lei, e lei fece altrettanto.

Si rivestirono e legarono assieme le ali dei draghi.

Mentre armeggiavano con le stringhe di cuoio che avevano a disposizione, si scambiarono continue furtive occhiate, con ancora negli occhi le immagini rubate dei corpi che avevano scorto.

Lui, nonostante il freddo gli facesse battere rumorosamente i denti, arrossiva nel guardarla, e lei, pur accaldata dall’eccessiva temperatura, riusciva a tingersi di blu, l’equivalente del rossore per il popolo del ghiaccio.

Solo grazie all’eccezionale bravura di tutti e quattro riuscirono a decollare.

Il volo fu un vero tormento, che mise a dura prova la loro ferrea determinazione.

Lo sforzo per arrivare a una quota sufficiente a oltrepassare la Barriera, fece tremare i possenti muscoli dei due draghi, ma riuscirono a superare l’ostacolo e a planare, atterrando senza incidenti sulla verde pianura di Rannah.

Nonostante fosse spossata dal calore e dalla stanchezza, Estrelle aveva gli occhi colmi di meraviglie mai viste prima e mai nemmeno sognate.

Poderosi alberi, dai forti tronchi color marrone e dalle folte chiome verdi, sfidavano un cielo azzurro. Enormi fiori gialli si rivolgevano al sole, assieme a innumerevoli altre varietà dalle corolle dipinte di mille sgargianti tonalità. Uccelli dal piumaggio rosso, verde, giallo, marrone, cantavano allegri in un caleidoscopio con tutti i colori del mondo.

E il torrente che scorreva poco distante! “Dei!”, si stupì la principessa. “Acqua, allo stato liquido, azzurra come il cielo, che scorre, formando mille gorghi spumeggianti!”.

Di colpo la tristezza invase il suo giovane cuore.

“Dopo questo paradiso di colori, come potrò ancora amare dello stesso amore le mie terre, dove esistono solo il bianco e il nero, il grigio, il blu e soltanto qualche timida sfumatura di tutte le altre meraviglie dell’arcobaleno”, sospirò.

“Abbiamo compagnia”, l’avvertì Zirah.

Un intero squadrone di soldati in corsetto giallo e rosso li aveva circondati.

Puntavano loro addosso pesanti balestre pronte a lanciare micidiali dardi, mente altri brandivano lunghe lance dalla punta acuminata che scintillava al sole infuocato.

«Fermi! Non vedete dunque chi sono? Abbassate le armi!», ordinò Samar.

Un ufficiale s’avvicinò al trotto, fino a fermarsi davanti al Principe.

«Che gli Dei siano mille volte benedetti, siete proprio voi altezza!”, esclamò, smontando dallo stallone e chinandosi al suo cospetto. «Era giunta la tremenda notizia della vostra morte in combattimento. Già abbiamo udito le lugubri campane dei paesi vicini rintoccare a morto, e invece eccovi qui, vivo e con dei prigionieri!».

«Non sono prigionieri, ma una nobile guerriera del Regno del Ghiaccio e la sua generosa dragonessa. Devo loro la vita, ma ora, presto, mandate il più veloce dei vostri cavalieri a portare la buona novella, che mia madre e mio padre siano avvertiti immediatamente».

Mentre l’ufficiale galoppava via, Samar si rivolse a Estrelle: «non so come ringraziarti, se non giurandoti che non mi scorderò mai di te, mia dolcissima e meravigliosa avversaria».

«Nemmeno io potrò scordarmi di te, bellissimo principe dai denti di bue».

Risero di gusto, poi lei, stremata dal caldo, perse l’equilibrio e dovette appoggiarsi alla dragonessa per non cadere.

«Presto Zirah!», supplicò il principe. «Portala in salvo».

Poi, preoccupatissimo chiese: «come saprò se sarete tornate a casa sane e salve?».

«Se davvero lo desideri, potremmo rivederci ancora, nella Terra di Mezzo, ma non di giorno, per affrontarci nuovamente in duello», sussurrò spossata la principessa. «Vieni di notte, quando la luna sarà piena e il suo chiarore illuminerà la via da percorrere. Il luogo sarà quello dove ci siamo incontrati».

«Ti prometto che, appena il mio compagno sarà in grado di battere le ali, tornerò in mezzo a quella neve, volando guidato dalla luna. Vedi d’esserci, o non mi perdonerò mai d’esser stato la causa della vostra morte».

Lei gli regalò un sorriso stanco. «Sono l’Aquila di Cristallo, e, non è affatto facile uccidermi, dovresti saperlo».

Nonostante la dragonessa si fosse chinata fino a sfiorare il terreno, Estrelle non riusciva a salire sulla sella.

Furono le mani forti di lui, che, con delicatezza infinita, l’aiutarono.

Entrambi s’erano tolti i guanti dell’armatura per meglio poter sciogliere i lacci che univano le ali dei draghi, fu così che, per la prima volta, le loro dita si toccarono, scoprendo che le leggende mentivano: la loro pelle non si raggrinzì, né le incaute dita caddero, trasformate in polvere. Lui sentì il freddo pungente della vellutata pelle azzurrina, lei il calore intenso, ma non ardente, di quella ambrata di lui.

I loro occhi s’incontrarono, sorpresi e contenti, mentre uno sconosciuto languore si insinuava nei loro petti.

L’ultima cosa che vide Estrelle prima di svenire fu la figura del principe con la mano alzata in segno di saluto che rimpiccioliva sempre più, mentre le possenti ali di Zirah battevano quell’aria troppo calda.

 

IV.

 

La notizia della loro avventura si sparse ovunque, con la rapidità di un incendio estivo nel Regno del Fuoco, e di una valanga in quello del Ghiaccio.

Gli uomini chiesero informazioni su come si fosse svolto il combattimento, le dame sull’aspetto della controparte.

I due re interrogarono i propri figli sulle capacità militari dei loro ancestrali nemici, le regine pretesero fossero attentamente visitati dai medici di corte.

Passarono i mesi, e la curiosità lentamente scemò fino a spegnersi del tutto.

Solo le persone più vicine ai due si accorsero del profondo cambiamento che l’incredibile avventura aveva prodotto.

I principi smisero di partecipare agli allenamenti e alle riunioni dei Dragonieri, uno adducendo quale scusa le ferite non ancora completamente rimarginate, l’altra, giunta a palazzo più morta che viva, a un difficile recupero delle forze.

Li si poteva trovare spesso nelle sale dimenticate delle biblioteche reali, chini su antichissimi tomi, con la sola compagnia dei neri ragni tessitori di infinite tele a Gottersurgh, la capitale del Regno del Fuoco, o dei trasparenti aracnidi costruttori di cristalline ragnatele a Shava.

Se qualcuno si fosse preso la briga d’investigare, avrebbe scoperto che quelle pergamene contenevano i più remoti resoconti sulla nascita dei due regni.

Solo le governanti notarono che i principi se ne stavano affacciati ai balconi delle proprie stanze per lunghe ore, immobili, gli sguardi perduti, uno rivolto a Nord e l’altra a Sud.

Persi nei loro pensieri, non s’accorsero che un nuovo fuoco ardeva negli animi dei propri concittadini.

Come una ciclica malattia, rimasta sopita per secoli, il virus della guerra era tornato ad ammorbare nuovamente il cuore e la mente degli uomini.

I Dragonieri si allenavano a volare mutando continuamente direzione e velocità per rendere arduo il compito ai balestrieri avversari.

Nuove e più efficienti imbottiture vennero prodotte.

Studiate per vestire cavalieri e draghi, avrebbero consentito di resistere a lungo nei territori nemici, permettendo così di portare morte e distruzione.

Alcune voci si alzarono, opponendosi al tradimento delle norme cavalleresche che condannavano ogni violenza sugli inermi. Ma erano poche, e si persero nel generale vocio delle folle scalpitanti, sovrastate da quelle che incitavano alle guerra.

I due re, inizialmente restii, dovettero arrendersi alle sempre più pressanti richieste dei propri sudditi.

Fu così che entrambi i regni si prepararono alla guerra.

 

V.

 

Erano trascorsi quattro mesi dalla sua avventura, quando la principessa Estrelle, al sorgere della luna piena, scese furtiva le scale del palazzo reale, e, dopo aver attraversato i giardini, giunta a una piazzuola nascosta  tra le querce del ghiaccio, con la mente chiamò Zirah.

La dragonessa atterrò con leggerezza sul lucido pavimento di ghiaccio.

“Sei davvero decisa a compiere questa pazzia?”, le chiese.

Ho fatto una promessa, e io mantengo sempre la parola data”.

“Sul serio pensi che quel principe del Regno del Fuoco sia pazzo quanto te?”.

La principessa sospirò: “lo spero“.

“Allora sbrighiamoci. Le notti estive hanno breve durata e dobbiamo tornare prima dell’alba”.

Con un rapido volteggio, Estrelle salì in sella e subito le ali batterono l’aria.

“Non hai la corazza e non porti armi”, notò Zirah, mentre si alzavano quanto più possibile, in modo che nessuno le potesse scorgere.

“ Ci incontriamo solo per rassicurare Samar sulla nostra sort, non certo per duellare”.

Ed è per questo motivo che indossi l’abito che ti regalò la Regina per accogliere i tuoi pretendenti e che ti sei sempre rifiutata di mettere perché troppo femminile?”.

“Non sapevo cos’altro mettermi! Nel mio guardaroba, a parte qualche vaporoso abito da ballo, ci sono solo divise da Dragoniere, nulla che si adattasse all’occasione!”, ribatté infastidita Estrelle.

“Lasciamo perdere, ma voglio ricordarti che Samar appartiene a un’altra razza, per giunta nemica della tua”.

“È anche di questo che voglio discutere con lui. Leggendo testi antichissimi, ho scoperto che un tempo esisteva una sola specie dalla quale entrambe le razze discendono. Abbiamo antenati comuni, e quindi nulla impedisce ai nostri popoli di convivere in amicizia”.

“Sulla prima questione concordo pienamente. Noi draghi lo sappiamo da sempre, quanto invece all’amicizia, temo tu stia vaneggiando. Non sai che la guerra è alle porte? Non hai visto i reggimenti dei Dragonieri prepararsi a invadere e distruggere le terre del fuoco?”.

Ma che dici? Mio padre non tradirebbe le norme cavalleresche, lo permetterebbe mai!”.

“Se, invece di sognare a occhi aperti, avessi partecipato alle riunioni dell’Ordine e ai Consigli dei Nobili, saresti di ben altro avviso”.

Tacquero, ognuna immersa nei propri pensieri, fino a quando arrivarono al luogo dell’appuntamento.

Atterrando, le ali della dragonessa sollevarono una nube di neve fresca, caduta da poco.

Non c’era nessuno.

Visto, che ti avevo detto? Per fortuna lui non è pazzo quanto te”.

“Guarda, lassù!!”, rispose la principessa, indicando il cielo verso Sud.

Il puntino nero, che si stagliava contro il chiarore lunare diffuso dalle nubi di ghiaccio, divenne ben presto la sagoma di un enorme drago.

Un’altra nuvola di neve si sollevò, imbiancando i candidi capelli di Estrelle, quando Nefrim scese accanto a loro.

Il principe piroettò a terra a pochi passi da lei.

Anche lui non aveva corazza e indossava un elegante completo nero che metteva in risalto il suo corpo statutario.

Rimasero entrambi silenziosi, uno di fronte all’altra, incapaci di profferir parola, o di muovere un solo muscolo, gli occhi estasiati dalla visione della bellezza dell’altro.

Se continuate così, arriverà l’alba senza che vi siate chiariti. Adesso che ha visto che stiamo bene, risali sulla mia groppa e andiamocene da qui”, suggerì Zirah.

Ma non accadde ciò che speravano entrambi i draghi.

I due principi si sorrisero, e, tolti i guanti, le loro mani si sfiorarono nuovamente, quasi a voler verificare che quanto già accaduto non fosse stato frutto dell’immaginazione.

«Sei bellissima. Per fortuna le nubi ti nascondono alla luna, che altrimenti ti diverrebbe nemica, invidiosa del tuo splendore che offusca il suo».

« ti ringrazio, Samar, ma non devi esagerare con i complementi. Se, come spero, diverremo amici, dovremo essere sempre sinceri tra noi», rispose lei, tingendosi d’azzurro per l’imbarazzo

«Non ti ho mentito. Non ho mai visto una simile perfezione in tutta la mia vita, e sarà per me il più grande degli onori godere della tua amicizia».

«Anche tu, denti a parte, sei piuttosto bello, e questo vestito ti sta davvero molto bene».

«Non l’ho mai messo prima, oltretutto mi sta stretto per via delle sottovesti anti gelo. Me l’ha regalato mia madre. Sostiene che indossare le divise da Dragoniere durante gli incontri con le possibili mie future spose…».

La risata argentina della principessa lo interruppe.

«Ridi solo perché non conosci mia madre, per lei la successione al trono è una cosa seria», fece lui offeso.

Estrelle si sforzò, senza grandi risultati, di smettere di ridere. «Non rido di te o di tua madre, è che anche il vestito che indosso me l’ha donato mia mamma, e proprio per la stessa ragione!».

Le loro risa gioiose salirono in cielo, superando le bianche nuvole di ghiaccio, fino ad arrivare all’amica luna.

 

VI.

 

I due principi amici tornarono a incontrarsi, notte dopo notte, finché la luna ebbe sufficiente chiarore per guidare i loro voli notturni.

I fedeli draghi, dopo aver spazzato via la neve fresca con qualche colpo d’ala, brontolando il loro dissenso, restavano accucciati a osservarli, mentre chiacchieravano di storia antica, di politica, di poesia, e di musica. Sempre più spesso le mani nelle mani, come a voler abituare il loro corpo a quello dell’altro.

Talvolta discutevano animatamente, altre volte ridevano allegri, o ascoltavano rapiti l’altro cantare le melodie delle proprie genti. Le mani faticavano sempre di più a staccarsi e il commiato era ogni notte più penoso.

Con l’approssimarsi della luna nuova, furono costretti a interrompere gli incontri, dandosi però appuntamento di lì a due settimane, quando nuovamente il pallido astro avrebbe permesso loro di volare durante le ore notturne.

E così, quell’inconsueta amicizia, continuò per gli ultimi due mesi di quell’estate, che sembrava non voler cedere all’autunno incombente.

Una notte il Principe portò con sé una rosa rossa, ermeticamente chiusa tra delle lastre di vetro.

Aveva scomodato il più grande studioso del reame, ma era sicuro che il fiore si sarebbe conservato perfettamente anche tra il ghiaccio.

Quando lo donò a Estrelle, lacrime di gioia rotolarono, come preziosi diamanti, sulle guance della principessa.

Non fu lui a prendere l’iniziativa, e nemmeno lei. Nessuno dei due si rese conto di quello che stava accadendo, fino a quando le loro labbra si sfiorarono in un primo tenero bacio.

Fu l’inizio della loro storia d’amore.

Da quella notte i baci presero il posto delle parole e le carezze delle poesie, e l’eterno canto degli amanti sgorgò spontaneo dai loro petti.

I due draghi tenevano la testa rivolta dall’altra parte, sbuffando, uno fuoco e l’altra ghiaccio.

Coloro che erano vicini ai due principi si accorsero che qualcosa era mutato in loro. La felicità riempiva i loro sguardi, i sorrisi erano più aperti e frequenti, e tuttavia rifuggivano le solite compagnie, se ne stavano appartati, spesso dormendo fino alle prime ore del pomeriggio, ritirandosi di buonora nelle proprie stanze.

Alla reggia del Regno del Ghiaccio, la cosa non era sfuggita all’ormai anziana Lisia, la devota maestra che amava Estrelle come una figlia, e che la principessa adorava come una seconda madre.

Una sera, all’imbrunire, la donna si presentò, tutta trafelata, nelle sue stanze.

«Devo parlarti bambina mia».

«Dimmi Lisia, ma vedi di sbrigarti perché ho sonno e desidero dormire».

La donna sbuffò, scuotendo la testa. «Guarda ragazzina che ha me non la dai a bere. Tu dormire al primo calar del sole, per poi scendere ancora assonnata all’ora di pranzo! Ma per chi mi hai preso?».

«Cosa vorresti insinuare, vecchia comare impicciona», la rimproverò bonariamente la principessa, accompagnando le parole con un sorriso.

«Ti ho seguita. Sei così sciocca, e con la testa persa tra le nuvole, che non te ne sei nemmeno accorta! E buon per te che a farti pedinare non sia stata tua madre, perché anche lei ormai nutre qualche sospetto».

Il sorriso si congelò sul viso di Estrelle. «E cos’hai scoperto?», chiese preoccupata.

«Che di notte te ne vai a zonzo, svolazzando con la tua dragonessa, chissà dove, e, soprattutto, chissà da chi!».

La giovane deglutì a vuoto.

Vedendo la sua espressione, Lisia ridacchiò: «anch’io ho avuto vent’anni e, anche se adesso non si direbbe, ero abbastanza carina da far innamorare più d’un ragazzo…», sospirò. «E tanto sciocca da ricambiarlo, quindi non aver paura, non dirò nulla ai tuoi genitori».

Un lungo sospiro di sollievo uscì dalle labbra della principessa.

«Però, se vuoi il mio consiglio, stai sbagliando a tenere tutto nascosto. Tuo padre stravede per te e tua madre che ti adora. Ti perdonerebbero qualunque cosa…», rifletté per un attimo e si corresse: «oddio, se si trattasse di uno stalliere, forse avrebbero qualche cosa da ridire…».

«È di sangue nobile, ma…».

La donna iniziò a saltellare per la gioia. «Ma allora che problema c’è? Anche se non fosse di alto lignaggio, lo accetterebbero senza discutere, sarebbero felicissimi…».

«È un principe, erede al trono», mormorò lei, abbassando lo sguardo.

L’anziana maestra si bloccò di colpo. «Come un principe? Non ci sono principi… oh Dei! Non puoi farmi questo!». Iniziò a tossire e per un attimo sembrò soffocare.

Estrelle le si avvicinò per aiutarla, ma lei la scacciò col gesto della mano.

Riprese il fiato a fatica. «Sei impazzita?», riuscì a dire con la voce arrochita. «Povera bambina mia, chissà quale maleficio quei maledetti caldi ti hanno gettato addosso!».

«Ma no, Lisia adorata, nulla di tutto ciò, semplicemente ci siamo innamorati…».

«Ma è impossibile! Se solo lo sfiorerai la tua pelle…».

«E’ una frottola, una sciocca superstizione!», la interruppe Estrelle stizzita. «Non succede assolutamente nulla, se non un pizzicore, che con l’abitudine si trasforma in una lieve sensazione di calore, che ti confesso trovo piacevole».

Il volto della donna divenne color cenere. «Mi stai confessando che tu e lui…che voi due…?».

«Sì, abbiamo fatto l’amore ed è stata una cosa sublime! Non me ne vergogno affatto, e per lui sarei disposta a tutto, anche a morire!».

La donna si accasciò sul letto, iniziando a piangere disperatamente. «È proprio quello che potrebbe succedere!».

«Cosa vuoi dire?».

«Tuo padre è ritenuto dal Gran Consiglio dei nobili un pavido, se non addirittura un vigliacco, e questo soltanto perché, per mesi, si è opposto ai preparativi per muovere guerra al Regno del Fuoco, non credendo che si stiano preparando a attaccarci, come viene fomentato. È riuscito a salvare la Corona da un colpo di stato, solo accettando di prepararsi alla guerra. Se si venisse a sapere che la sua unica figlia, erede al trono, è innamorata del futuro re dei nostri nemici… ti processerebbero per alto tradimento. Per salvarti dal patibolo, tuo padre sarebbe costretto a abdicare a favore di uno dei suoi fratelli, ma, al massimo, riuscirebbe a far commutare la pena nella prigione a vita», le riferì, tra i singhiozzi.

Estrelle si lasciò cadere sul letto a fianco della sua amata maestra.

«Guerra, colpo di stato, alto tradimento…», mormorò atterrita. «Non siamo io e Samar, è il mondo intero che improvvisamente è impazzito!».

«Non dirò nulla a nessuno, ma tu devi immediatamente chiudere questa storia assurda», pretese Lisia.

«Ma io l’amo!», pianse disperata la principessa. «Tu non riesci a immaginare quanto! La mia vita non avrebbe più senso senza di lui».

L’anziana maestra l’abbracciò, accarezzandole i capelli come quando era una bimba e correva da lei per essere consolata. «Mi si spezza il cuore nel vederti in questo stato, ma non c’è nessun’altra soluzione. Devi sacrificarti per il bene non solo tuo, ma anche per quello di tuo padre e del Regno. Cosa credi che accadrebbe se al trono dovesse subentrare tuo zio Lugor? Solo tuo padre è in grado di evitare che la guerra degeneri in un massacro. La vostra storia deve finire immediatamente o dovrò avvertire la Regina».

«Lasciami rivederlo un’ultima volta, stanotte. Lo devo avvertire, perché è probabile che anche lui corra i miei stessi rischi».

La donna annuì, asciugandole il viso con la manica del vestito.

«Va bene, così sia, ma mi raccomando di starei attenta».

Si salutarono come sempre, baciandosi sulle guance.

Estrelle rimase sola.

Era in ritardo. In fretta e furia si vestì.

Anche se ormai era già arrivato l’inverno, scelse d’indossare l’abito del loro primo incontro.

Passò uno sguardo triste su tutta la sua camera, poi si volse e, senza chiudere la porta, se ne andò.

Mentre volava rapida nel cielo plumbeo, rischiarato a malapena dal soffuso chiarore lunare, le lacrime le offuscavano la vista.

Nella mente un unico straziante pensiero: sarebbe stata la loro ultima notte d’amore.

Quando atterrò, Samar era già lì che l’attendeva, preoccupato per il ritardo, ma quando la vide, avvolta in quel meraviglioso vestito, un sorriso gli illuminò il volto.

«Amore mio!», la salutò, stringendola tra le braccia e baciandola appassionatamente. Solo dopo qualche istante si accorse dei diamanti che le rigavano il volto.

Le chiese cosa stesse accadendo e lei glielo spiegò.

«Sta succedendo la stessa cosa anche da noi», ammise serio il principe. «Non te ne ho parlato perché non volevo che ti preoccupassi, ma tutto sta precipitando. Alcuni giorni fa ho parlato con mio padre, che, per fortuna, sembra avere meno problemi del tuo, ma non c’è stato nulla da fare: ormai la macchina si è messa in moto e sembra che nulla la possa arrestare».

Tra le lacrime Estrelle rispose: «non potremo più vederci, e la guerra porterà morte e distruzione tra i nostri popoli. Non importa chi sarà sconfitto sul campo: sarà l’odio l’unico vero vincitore. Dopo gli eccidi che verranno perpetrati, diventerà l’unico sentimento comune a entrambi i nostri popoli per decenni, forse per secoli. E pensare che noi stavamo per rivelare d’aver scoperto che siamo tutti figli di una stessa progenie. Col nostro amore avremmo dato inizio a un’era di pace e prosperità tra le nostri genti».

«Non potrò vivere senza di te», annunciò improvvisamente lui.

«Io nemmeno».

Quella notte si amarono appassionatamente, prima quasi con rabbia, poi con infinita dolcezza.

Parlarono per ore nel tentativo di trovare una soluzione, ma non c’era.

Impossibile fuggire. L’unico luogo dove entrambi potevano sopravvivere era la Terra di Mezzo, ma il clima, anche prendendo ogni possibile cautela, in poche settimane, sarebbe risultato fatale a entrambi.

Di nuovo fecero all’amore, questa volta con disperazione, poi ancora con struggente, malinconica dolcezza.

Quando l’alba era ormai prossima, ebbero un’idea. Non era una soluzione, almeno non per loro, ma rappresentava l’unica speranza possibile per le loro genti.

Convincere i draghi fu meno difficile di quanto avessero sospettato.

La connessione psichica con il proprio partner era talmente profonda che, leggendo nei cuori dei due innamorati, avevano compreso il sentimento che li  legava indissolubilmente, ma anche le motivazioni alla base del loro progetto.

Quando i primi raggi del sole schiarirono il cielo lattiginoso, i due possenti rettili erano già alti nel cielo, diretti ognuno al proprio regno.

Solo che a cavallo del grande drago nero, non c’era il principe Samar, ma Estrelle, la principessa del Regno del Ghiaccio, e a cavallo della Dragonessa azzurra, sedeva il principe del Regno del Fuoco.

I rispettivi schieramenti difensivi riconobbero i draghi e gli stendardi, e li lasciarono passare.

Nefrim non atterrò sulla piazzola centrale del Palazzo Reale, dove solitamente si posavano i draghi, ma, con una manovra ardita, depositò il suo cavaliere sul balcone delle stanze del Re e della Regina.

L’iniziale stupore tra le guardie addette alla protezione dei reali, si tramutò in atterrita confusione, quando si resero conto che non era il loro amato principe ad aver compiuto un elegante balzo dalla schiena del drago, ma uno dei loro acerrimi nemici.

Si precipitarono immediatamente nelle stanze dei reali, mentre i corni echeggiavano ovunque, dando l’allarme.

I primi a entrare, con le spade sguainate, furono quattro ufficiali, che però non si trovarono davanti alla scena che avevano paventato.

Non c’era sangue, né segno alcuno di violenza.

Il Re e la Regina, vestiti con i loro abiti da camera, se ne stavano tranquillamente seduti sulle loro poltrone a fianco del grande letto a baldacchino e l’intrusa era inginocchiata davanti a loro.

Estrelle era scossa da un tremito continuo, causato dall’enorme sforzo cui stava sottoponendo il proprio corpo nel tentativo di resistere a quella temperatura per lei mortale.

Il viaggio, nonostante Nefrim avesse volato veloce come non mai, era durato troppo a lungo, e il suo fisico stava rapidamente cedendo.

«Sono la principessa Estrelle, figlia di Re Nir, erede al trono del Regno del Ghiaccio. Alcuni mesi orsono conobbi vostro figlio», iniziò la principessa, la voce fievole come quella di una bimba.

Il re si alzò. «Sappiamo cosa accadde e, seppur grati per averlo salvato, non possiamo tollerare…».

«La scongiuro Sire, sto morendo, e non mi rimane più molto tempo, mi lasci parlare».

La mano della Regina si posò sul braccio del marito che si risedette.

«Continua, ti prego», esortò la regina.

«Quello che nessuno sa è che ci siamo innamorati e amati, incontrandoci segretamente nella Terra di Mezzo».

«Non è possibile!», sbottò il re.

«Lasciala parlare, marito. È qui e sta rischiando la vita, guarda quanto è bella e quello che c’è nei suoi occhi, o forse sei così vecchio da non ricordare più cos’è l’Amore? Non sta mentendo, ne sono certa».

Un sorriso ravvivò per un istante il volto dolente della principessa.

«Noi vi imploriamo di impedire questa guerra che porterà solo morte e distruzione ai nostri popoli. Il vostro amato figlio, in questo stesso istante, è davanti ai miei genitori a pronunciare le mie stesse parole. Abbiamo scoperto, tra gli antichi papiri, che un tempo non esistevano i freddi e i caldi, ma un unico popolo. Se non crederete a queste mie parole, cercate  voi stessi nella biblioteca e, se ancora non vi bastasse, chiedete ai draghi. Loro, da sempre, conoscono questa verità».

La principessa ondeggiò e dovette appoggiare una mano al pavimento.

«Vi supplico in nome dell’amore, deponete le armi, fate che il nostro sacrificio non sia stato inutile».

Tese la mano tremante alla Regina, porgendogli una sottile collana con un medaglione d’oro che recava, incastonato al centro, un diamante purissimo, tagliato con la forma di un’aquila reale del ghiaccio, identico a quello che portava sull’elsa della sua spada.

«Nobile regina, la prego, lo consegni a mia madre, che me ne fece dono alla nascita. Riceverà quello che lei ha donato a suo figlio, col rubino raffigurante il leone alato, dalle mani della mia cara mamma. L’incontro per lo scambio è fissato alla mezzanotte della prossima luna piena, nella Terra di mezzo. Riconoscerete il luogo perché lì i nostri draghi, con la loro forza sovrumana, hanno infisso nella roccia, sotto lo strato di ghiaccio, le nostre spade».

Di colpo le forze l’abbandonarono e cadde a terra di schianto.

Il re e la regina si alzarono di scatto, lei, con in mano il prezioso ciondolo, iniziò a gridare: «ghiaccio, presto! Portate tutto il ghiaccio che riuscite a trovare assieme alla più pesante delle mie pellicce!»

Corse a inginocchiarsi davanti alla principessa morente e, senza badare agli avvertimenti che si levavano attorno, iniziò ad accarezzare dolcemente quei splendenti capelli d’argento.

Rivolgendosi alla principessa, tentò di rassicurarla: «non temere, mia cara, riusciremo a salvarti e ti rimanderemo indietro. Sappi che non desidero nessun’altra nuora che non sia tu».

Un sorriso appena accennato riuscì a farsi strada su quel bellissimo viso dal colorito ormai cinereo. «La ringrazio, sappia che siamo stati felici, io e suo figlio, d’una felicità che riempie un’intera esistenza», poi chiuse i meravigliosi occhi e, come un fiordaliso privato dell’acqua, reclinò il capo.

Arrivarono di corsa decine di servi portando recipienti pieni di ghiaccio, un altro distese sul pavimento una grande pelliccia. La regina ordinò che venisse ricoperta da uno strato di ghiaccio, vi fece deporre la principessa, poi ordinò che venisse coperta con altro ghiaccio, quindi fece chiudere la pelliccia in modo da avvolgerla completamente, lasciandole scoperto solo il bellissimo viso.

«Dov’è Nefrim?», chiese.

«Sulla terrazza, circondato. Gli arcieri sono pronti a colpirlo al vostro ordine: non avrà scampo!», asserì prontamente un ufficiale.

«Toglietemi dalla vista questo imbecille!», urlò il re. «Presto, portatela sulla terrazza e fissatela saldamente al drago di mio figlio!», ordinò, indicando la principessa avvolta nella pelliccia che lui stesso aveva donato alla moglie.

Salirono anche loro, incuranti del gelido vento notturno che attraversava le leggere vesti da camera.

La fecero fissare sul dorso del drago.

«Tu sai dove portarla», disse la regina Nefrim, poi scostò i capelli d’argento di Estrelle e la baciò sulla fronte.  «Adesso vai e vola più veloce del vento!», ordinò al drago.

 

VI.

 

Quasi le stesse scene si ripeterono al palazzo reale del Regno del Ghiaccio.

Il principe ritornò nella Terra di Mezzo avvolto in pesanti indumenti riscaldati da carboni ardenti, recuperati in fretta e furia dalle fucine reali, fissato alla dragonessa azzurra.

Nessuno sa di preciso cosa avvenne poi.

Alcuni hanno pensato, o forse soltanto sperato, che i due amanti, i fisici ormai adattati al clima della Terra di Mezzo grazie alla reciproca intimità, siano sopravvissuti, e che, accompagnati dai loro draghi, se ne siano andati verso Est, oppure verso Ovest, fino a raggiungere i grandi mari ghiacciati, vivendo, in quelle sperdute terre, lunghi anni di felicità.

Qualcuno afferma invece d’aver scorto, in qualche sperduto luogo di quella terra tra le due barriere, le ossa dei due principi, ancora abbracciati, circondate e protette da quelle dei loro fedeli draghi.

Altri spergiurano d’averli visti, a cavallo dei loro draghi, ala contro ala, alzarsi a candela nel cielo, in una notte di luna piena, e, veloci come frecce attraversare le nubi di ghiaccio per dirigersi sempre più in alto, forse, chissà, fino a raggiungere il pallido astro notturno, dove, come tutti sanno, il ghiaccio e il fuoco convivono senza problema alcuno.

L’unica cosa certa è che nessuno li rivide. Mai più.

In una notte di luna piena, al cospetto di due splendide lame saldamente inflitte nella roccia, s’incontrarono due re e due regine.

Dietro di loro, schiere di uomini e donne, soldati e ufficiali, nobili dame e semplici massaie, contadini e cavalieri, tutti ugualmente silenti, con gli occhi brillanti al chiarore sfocato della luna, tutti accomunati dall’amore per i due principi, tutti giunti fin lì, sfidando la natura ostile di quei luoghi.

Nel silenzio più assoluto, le regine si scambiarono due pendagli e si abbracciarono piangendo, e i due re, anch’essi coi volti rigati dalle lacrime, si tolsero i guanti e si strinsero la mano.

Da allora nessuno parlò mai più di guerra e da molti secoli tra i due regni regna la pace, il reciproco rispetto e talvolta, seppur assai di rado, anche l’amore.

Durante il primo secolo, quel luogo fatato divenne meta di pellegrinaggi. Attorno alle due spade nacquero aiuole di fiori che sbocciavano tutto l’anno, create dai migliori vivaisti dei due regni, piante selezionate per sopravvivere nella Terra di Mezzo.

C’erano persino delle rose rosse.

Poi, col tempo, i visitatori si diradarono sempre più, fino a scomparire quasi del tutto.

Oggi, laggiù, al centro della Terra di Mezzo, le due spade ancora sfidano il trascorrere del tempo, saldamente infisse nella dura roccia.

Oscillano al vento, e, talvolta, quando è luna piena, si alza una brezza che le fa ondeggiare sino a che le preziose effigi, incastonate nelle else, vengono tintinnando a toccarsi.

Accade allora che il Leone Rosso ancora baci l’Aquila di Cristallo.

 

FINE

 

Nota ritrovata a margine del manoscritto, e attribuita a  Adrin Lork, Primo Archivista della Real Biblioteca del Regno del Fuoco, Storico e scrivano, insigne studioso delle più antiche leggende degli Antichi Regni, redatta il giorno nono dell’ottavo mese dell’anno 949 dei Regni Uniti.

 

“Nemmeno io so quello che accadde veramente a Estrelle e a Samar.

Il mio cuore spera che nelle favole che ancor oggi le madri di entrambi i regni raccontano ai loro bimbi, impauriti nell’udire l’ululato notturno dei venti, vi sia del vero.

Elle narrano ai propri figlioletti la leggenda dei due principi e del loro amore, e li tranquillizzano, rivelando che Estrelle e Samar tornano talvolta dalla luna a far visita alle terre natie, e che gli ululati altro non sono che l’eterno canto d’amore dei loro draghi”.

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